Descrizione
Malgrado sia stato per un ventennio la firma più ammirata e temuta del Messaggero di Roma e la vastissima popolarità, negli anni Settanta, dei suoi Pugni sul tavolo, trasmissione cult di TeleVita, Nino Longobardi (Torre del Greco, 15 ottobre 1925 – Roma, 25 novembre 1996), Re del giornalismo, soggettista cinematografico e scrittore di successo (l’autobiografico Il figlio del podestà, edito da Rusconi, fu il libro dell’estate 1976) è stato colpevolmente rimosso. Perché era la voce “contro”, il personaggio scomodo, pronto a denunciare “l’intreccio continuo, costante ed evidente tra affari e giornalismo”. Acuto fustigatore del costume, ecologista patriottico ed ante litteram, Longobardi rivendicava l’appartenenza a una destra di anime libere, sullo stile anticonformista di Flaiano, Longanesi e Montanelli. Esiliato anche per questo dal pensiero dominante, tanto banale quanto attento a demonizzare chi va “contromano”. A distanza di vent’anni dalla sua scomparsa, questa biografia cerca di ricostruirne la vita (degna di un romanzo) e il percorso professionale.
“Incontrai il mitico Nino Longobardi seduto alla sua scrivania e mi parve un curioso incrocio tra uno sceriffo e un guappo, una specie di Fred Buscaglione del giornalismo. Cinturone, cappello a larghe falde, scarpe a cui mancavano solo gli speroni per montare a cavallo.” – Marcello Veneziani
“Lui doveva stupire, recitare, inventare, sempre dicendo cose vere, verissime. «Ricordati, – mi disse quel giorno congedandomi – sei giovane, devi ricordartelo: quelli che parlano di giornalismo libero, pluralità delle testate dicono sciocchezze. Prima di tutto deve essere libera la testa, come la mia testa». E alzò il braccio, la mano si avvicinò alla testa. Ma non la raggiunse, non poteva raggiungerla e toccarla. Sopra c’era la corona, che brillava. E brilla, la corona di Nino, eccome se brilla, anche oggi, a vent’anni dalla sua morte.” – Mattias Mainiero